Cinema / Lei mi parla ancora

Pupi Avati all'anagrafe Giuseppe Avati, classe 1938, è un regista che nella sua lunga carriera ha sempre avuto come tratto distintivo una modalità narrativa che lo ha sempre identificato nel panorama cinematografico italiano. Il suo ultimo lavoro Lei mi parla ancora ispirato dal libro Lei mi parla ancora-memorie edite ed inedite di un farmacista scritto da Giuseppe Sgarbi, padre di Vittorio ed Elisabetta, pubblicato nel 2016 e dedicato alla memoria della moglie Rina Cavallini scomparsa nel 2015 dopo ben 65 anni di matrimonio, conferma questa collocazione ancora una volta. Il film era destinato alla distribuzione nelle sale ma a causa della pandemia è stato venduto a Sky Cinema che lo ha messo in programmazione dall'8 febbraio 2021. 

Giuseppe Sgarbi inizia l'attività di scrittore a 93 anni con Lungo l'argine del tempo edito da Skira con le postfazioni dei due figli, in seguito ha pubblicato Non chiedermi cosa sarà il futuro, ma il libro che sente più suo, quello scaturito da un'interiorità sofferente e nostalgica è sicuramente Lei mi parla ancora, praticamente una lunga lettera d'amore alla compagna di una vita, l'ago e il filo occorrenti a ricucire una lacerazione che ha interrotto temporaneamente quel dialogo. La storia di un rapporto che equivale alla storia di due vite, che ne hanno generate altre, che vede il suo inizio nel matrimonio, poi nel coraggio di affrontare la ricostruzione post bellica, nel lavorare duramente per mettere su una farmacia, una storia che è riemersa dall'alluvione del Polesine e che ci narra come è stata allestita una casa museo affollata di opere d'arte sedimentate dal tempo. Una casa piena di arte, sculture, dipinti, se vogliamo di passato e di bellezza, una realtà che ha sempre fatto dialogare il passato con il presente. Fatto questo, del quale Pupi Avati si è fatto interprete discreto come solo lui sa fare: pennellando una storia intima e privata dai contenuti profondi con una modalità narrativa che bada in primo luogo a rispettare con grande sensibilità i protagonisti della vicenda e gli spettatori. Avati ci conferma, quindi, ancora una volta, le sue doti di narratore irresistibile che ha il dono di non indurre mai lo spettatore in distrazione, senza effetti mirabolanti, ma solo con le parole e le immagini, essenza del cinema fin dai primordi della settima arte.

Lei mi parla ancora è un film ricco di citazioni di opere che hanno elaborato il tema della morte e dell'abbandono: nel film si vede Il settimo sigillo di Bergman, si odono i versi di Myricae di Giovanni Pascoli, e un estratto da Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, che viene ripetuto più volte nel film e che è forse la chiave escatologica della storia:


L'uomo mortale, Leucò, non ha che questo d'immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.


Un film sulla memoria, quindi, ma che viene presentata in maniera circolare: il passato si lega al presente, allo stesso modo di quello che succede nella casa museo, rendendo non fondamentale l'individuazione dell' epoca della narrazione. In fondo Giuseppe e Rina il giorno del matrimonio si giurarono amore eterno, in forma scritta, e l'eternità non segue nel suo evolversi una forma lineare, bensì un senso circolare, infinito per l'appunto. Ottima l'interpretazione di Renato Pozzetto nei panni dell'anziano Giuseppe, vita come opera d'arte in questo caso, per via di una condizione personale simile: nel 2006 dopo un lungo matrimonio Renato Pozzetto ha perduto la sua Brunella. Chi meglio di lui, anziano e vedovo di una storia lunga una vita, per interpretare il ruolo di Nino/Giuseppe?

Un plauso va anche agli altri interpreti: Stefania Sandrelli nei panni di Rina anziana e Isabella Ragonese, una bellissima Rina giovane; Lino Musella nel ruolo di Nino da giovane, Alessandro Haber e Filippo Velardi, rispettivamente l'anziano e il giovane Bruno, fratello di Rina; un roccioso Fabrizio Gifuni nel ruolo dello scrittore Amicangelo e Chiara Caselli nel ruolo di Elisabetta Sgarbi.

Credo che film come Lei mi parla ancora, siano film necessari, film che fanno bene, un balsamo lenitivo dell'anima, storie che riescono ad introiettare, nel senso letterale di accogliere in sè, la vita di ognuno per ripercorrerla senza distinzioni di natura temporale: siamo integri quando vivono armonicamente in noi il nostro presente ed il nostro passato. Un grazie quindi a Pupi Avati che grazie ad una narrazione garbata, misurata, emozionante e soprattutto portata avanti senza il bisogno di urlare e senza cadere nel facile patetismo, parla ai nostri fantasmi e alla nostra intimità troppo spesso maltrattata tra un passato lontano  e un presente illeggibile.

 

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