Cinema / Opera senza autore. La sorgente della creatività

Il mistero della creatività, massima espressione umana, è stato oggetto di analisi molto frequentato da diversi studiosi operanti in vari campi della conoscenza. Il cinema non da meno, partecipa all'elaborazione del fenomeno e spesso lo fa in maniera magistrale, come nel caso del film Opera senza autore (2018) del regista tedesco Florian Henckel von Donnersmark. Il regista, anche autore del soggetto, nell'ideazione del film si ispira parzialmente alla vita del pittore Gerhard Richter, nato nel 1932 a Dresda e attivo in Germania dal dopoguerra, divenendo poi nel 1971 direttore dell'Accademia d'Arte di Düsseldorf.



Le vicende narrate nel film hanno inizio nel 1937 e vedono al centro della storia il piccolo Kurt Barnert e la giovane e bella zia Elisabeth May, amante della musica e dall'arte, che purtroppo vivono durante un momento difficile per la Germania. La zia porta il bambino a vedere una mostra allestita sull'arte degenerata, dove si riconoscono dipinti di Kandinsky e di pittori della Nuova oggettività tedesca come Otto Dix e Georges Grosz, artisti quest'ultimi, che a causa di un'espressività basata su una forte critica sociale erano stati banditi dalla Germania nazista. Dopo la premessa contestuale, il vero incipit si ha quando Elisabeth per via di intemperanze artistiche verrà diagnosticata schizofrenica: presa di forza davanti a tutta la famiglia, anche  davanti al piccolo Kurt, verrà caricata su un'ambulanza e inserita nel Programma T4 detto anche "programma eutanasia" che si proponeva di eliminare gli individui affetti da malattie psichiche, malattie genetiche e portatori di handicap, vale a dire tutti quegli individui che gravavano sulle casse dello Stato e che venivano considerate "vite indegne di essere vissute". Queste teorie, ratificate fin dalla fine dell'800 dal gotha della scienza dell'epoca, soprattutto in area anglosassone, definivano gli indirizzi eugenetici, intesi a migliorare le razze ricorrendo alla sterilizzazione e in ultima ratio all'eliminazione fisica dei soggetti svantaggiati. L'interferenza della politica con la scienza, portò alla stesura di un "Manifesto della razza" anche in Italia nel 1938 e tra i firmatari, che avallarono le teorie eugenetiche, figurano dotti scienziati, accademici di prim'ordine, patologi, antropologi, endocrinologi e neuropsichiatri che insegnavano nelle migliori Università italiane. Il programma eutanasia portò alla morte di oltre 200.000 individui, tra i quali anche la Elisabeth May del film. Dresda, luogo dove viveva Kurt, dopo la guerra farà parte della DDR, quindi all'Accademia d'Arte si studiava e si realizzava il realismo socialista, genere retorico e strettamente dottrinario che non dava molto spazio all'espressione della soggettività dell'artista. I percorsi del destino sono però imprevedibili e Kurt si innamora di una bella ragazza che poi si scoprirà essere la figlia del ginecologo, ufficiale delle SS, che decise, inflessibile, prima la sterilizzazione e poi la morte della zia Elisabeth. Il Professor Carl Seeband incarna il tipico "riciclato" senza scrupoli che da essere un fedele servo della causa nazista, dopo la guerra, si trasforma in un acceso difensore del comunismo ad est e del capitalismo ad ovest. Il conformismo, atteggiamento straordinariamente adattivo, nella Germania del dopoguerra, ha permesso ad un gran numero di  individui privi di morale di mimetizzarsi e "ripulirsi" continuando a vivere indisturbati. 

Kurt e la moglie, decideranno, negli anni Sessanta, di varcare il confine con l'ovest, per stabilirsi a Düsseldorf, dove era presente un vivace dibattito intorno all'arte d'avangaurdia; qui Kurt avrà modo di confrontarsi con artisti del suo livello, ma l'incontro che sarà determinante per la sua maturazione artistica sarà quello con il professor Antonius van Verten, che lo metterà di fronte alle sue responsabilità e soprattutto gli indicherà dove cercare per trovare l'ispirazione, la verità. Il professore, scampato dalla morte in guerra grazie alle cure dei contadini della Crimea, spinge Kurt a cercare nella sua interiorità e rifiutare in tal senso una produzione che fa dell'adesione a correnti coeve, quindi intrisa di formalismo e omologazione, il suo focus. La chiave gli verrà fornita quando vede su un quotidiano la fotografia dell'arresto dell'ufficiale nazista responsabile delle deportazioni dei cosiddetti malati di mente. I fili della memoria sopiti fino a quel momento si riannodano e come per miracolo, Kurt riesce ad andare in profondità nel suo passato, rendendo vivo il dolore reso meno spigoloso dal tempo. Inizia così a copiare in maniera realistica le fotografie, rendendogli poi un effetto sfocato. La rivelazione della sua storia personale e come questa entra nella sua arte si ha quando realizza un dipinto su toni di grigi, sovrapponendo i volti del criminale nazista arrestato, del suocero e della zia uccisa, una sovrapposizione di piani che viene dalla profondità della memoria e rende magistralmente la complessità degli eventi che prendono vita simultaneamente in maniera orizzontale e al contempo nello scorrere del tempo, verticalmente. La visione e la lettura a strati del visibile, quindi della realtà, fu proprio l'innovazione espressiva che portò Richter, alla quale vicenda si ispira von Donnersmark nel film. 

Il lungometraggio vive immerso nella complessità della contemporaneità come anche in un passato difficile da rimuovere, che sottolinea attraverso numerosi simboli. Nel 1937, momento di massima adesione al nazismo, la zia Elisabeth nuda suona al pianoforte il brano "Le pecore possono pascolare tranquille" tratto dalla cantata BWV 208 di J. S. Bach, traccia simbolica che evidenzia come l'ascesa del nazismo si sia alimentata della complicità di una grande parte del popolo tedesco. Inoltre, il mantra del film,  che poi sarà la chiave epifanica di Kurt, è la frase « Quando una cosa è vera, è bella» che risulta anche essere un monito a non distogliere mai lo sguardo dalla verità, come farà lo stesso Kurt, quando assisterà alla deportazione forzata della giovane zia. L'autenticità è presente solo nella vera arte, anche quando è una riproposizione degli accadimenti filtrata dall'atto introspettivo dell'artista. Coerenza quindi, attenzione alla realtà circostante e alla propria predisposizione a seguire quanto la nostra interiorità ci permette di vedere.


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