Fotografia / Fotografia come parafrasi

Ricordo ancora con estremo piacere la mia prima visione de La grande bellezza, film di Paolo Sorrentino. A quella prima visione, ne sono seguite a stretto giro altre due. Avevo bisogno di un film del genere. Un film che posso definire squisitamente "epico" per scomodare un termine brechtiano, con la presenza di una voce narrante e assenza di un finale catartico, che riesce ad indurre, attraverso le istanze che pone, un grande lavoro intellettuale allo spettatore. Inoltre la pellicola non si regge solo sulla sceneggiatura, tra l'altro bellissima, ma trova un forte sostegno nella colonna sonora e nella potenza evocativa delle immagini, che Sorrentino realizza in modo estremamente classico; molte inquadrature centrali e sinestesicamente stentoree che fanno da rinforzo al paradigma visivo della Roma monumentale, deuteragonista del film.


sergio battista fotografo
Immagine di copertina
I temi che mette in gioco sono molteplici, ma quello sul quale si pone l'attenzione è proprio il senso di vuoto intellettuale e solitudine. Immagino tante sensazioni, emozioni, stati d'animo che girano vorticosamente in modo disordinato ma l'intervento di una forza centripeta, di origine quasi divina, riconduce tutto al centro, all'essenza, al male di tutti i mali o al bene assoluto, chi può dirlo, ossia al vuoto, alla crisi, alla solitudine.

L'impatto di questo film su di me è stato notevole. Lo considero come un capolavoro assoluto sia per la poetica che per lo stile realizzativo. Stupore assoluto.

Nasce così nella mia mente di realizzare un progetto fotografico che possa prendere spunto dall'idea, dall'essenza del film, sottoforma di parafrasi e non di citazione, ovvero con un tentativo di creare un progetto di senso compiuto, in questo caso parziale, partendo dal materiale originale filmico che ho sintetizzato e ricondotto solo a due elementi: i luoghi della Roma monumentale impressi sulla pellicola e la figura umana, nello specifico femminile. L'intenzione era quella di rappresentare il contrasto/armonia tra bellezza monumentale e bellezza umana vissuto con la testimonianza onnipresente del silenzio del flusso storico:


"Jep Gambardella
: Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento..."

Il contrasto, quindi, tra l'eternità dei monumenti e la caducità della vita, la solidità del marmo e la corruzione della bellezza umana, il lavoro imperterrito del tempo modificatore in una città che da oltre 2700 anni osserva e contiene in seno un coacervo di perversioni di potere civile e religioso, un freno questo, che le ha impedito per secoli di realizzarsi intellettualmente e culturalmente.

Si palesa così L'infinita bellezza-ritratti femminili a Roma, una parafrasi fotografica minima del film La grande bellezza. Una carrellata di immagini in bianco e nero che ritraggono delle donne in pose fotografiche piuttosto consuete nelle locations del film: fontana del Gianicolo, Aventino, EUR, Parco dell'Appia Antica, alcuni dei luoghi che hanno fatto da sfondo partecipe agli scatti.


"Le fotografie del progetto evidenziano una marcata dualità luce/ombra, primo piano/fondo, passato/presente. Una scelta specifica al fine di esaltare quei trapassi chiaroscurali e particolari circostanziali disposti al di là della "pre-senza" dei primi piani." Mino Freda, dalla prefazione del libro.

Il medium fotografico è straordinario come strumento di narrazione "epica", in quanto l'immagine prodotta è qualcosa di non finito, che racconta un frammento di verità parziale, ossia, vive la contraddizione di fermare un momento ma prolungarlo in memoria da parte di chi partecipa alla visione, termine quest'ultimo, che suggerisce l'atto di guardare ma anche di vedere oltre e rappresentare la realtà visiva come idea, concetto.

Il libro fotografico L'infinita bellezza è stato realizzato nel 2014, autoprodotto attraverso i servizi editoriali di Blurb.
Il libro è in vendita Qui.






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