Quale cultura possibile?

Nel saggio Economia, società e modi del fare musica nelle culture tradizionali, Marcello Sorce Keller ci riporta come tradizionalmente gli antropologi tendano a suddividere le parti che compongono quel vasto fenomeno che chiamiamo cultura. Alla domanda che cos'è "una cultura" gli studiosi ci dicono quali sono le tre componenti che intervengono nella sua costituzione: una parte materiale, gli oggetti, strumenti e utensili; un sistema socio-economico di riferimento  e infine, una cultura espressiva, ossia religione, arte e linguaggio proprio di una realtà sociale. Quindi ciò che chiamiamo cultura è quel conglomerato stratificato nel tempo di queste componenti che interagiscono tra loro. Come ci ricorda anche Mario Vargas Llosa: " La cultura non è la somma di parecchie attività, ma un modo di vivere, un modo di essere in cui le forme sono importanti quanto il contenuto. La conoscenza ha a che vedere con l'evoluzione della scienza a della tecnica, e la cultura è qualcosa che precede la conoscenza, una propensione dello spirito, una sensibilità e un'attenzione alla forma che da senso e guida le conoscenze." Una seppur affrettata conclusione ci porterebbe ad affermare quindi che l'interazione delle componenti sopra citate ci fornisca la realtà espressiva, il modo di vivere e  di interagire di una società umana. E' altresì importante però, considerare come le tre componenti, che in realtà in questa sede potremmo restringere a due, sistema socio-economico e cultura espressiva, interagiscono tra loro sotto il punto di vista della priorità: in altre parole quale influenza hanno nel costituire il corpus culturale di riferimento. Se dovessimo analizzare le dinamiche della nostra società, definita politicamente democratica e appartenente ad un sistema economico capitalista all'interno di un macro sistema globalizzato, vedremo, senza difficoltà alcuna, come il sistema socio-economico abbia la prevalenza sulla cultura espressiva. Troveremo quindi molti aspetti che mettono in evidenza come il mercato e le scelte economiche attuate in suo nome, tendano a condizionare il mondo dell'arte, della musica, del teatro e del cinema: in definitiva si noterebbe come il mercato abbia la capacità di indirizzare le scelte espressive.

Tuttavia non dobbiamo pensare che venga meno l'importanza dell'espressione in una società dominata dalle scelte di mercato. Pensiamo al fenomeno inglese: la tradizione musicale anglosassone da sempre aperta nella pratica musicale a tutti gli strati della popolazione, si trova a metà degli anni '60 alla conduzione di quel fenomeno denominato pop music che diverrà merce di esportazione a livello globale in misura maggiore dell'acciaio, delle automobili o dell'industria alimentare. Stessa cosa si può dire della cinematografia a stelle e strisce: l'Europa dal secondo dopoguerra verrà inondata dal cinema di Hollywood e con esso dai principi della cultura americana che il cinema classico si impegnava a diffondere. Ecco quindi, solo per fare due esempi, come la musica pop-rock inglese e il cinema statunitense hanno forgiato l'immaginario collettivo europeo dal dopoguerra fino ad almeno alla fine degli anni '70 del secolo scorso, condizionando scelte e aprendo nuovi mercati dopo avere dato il colpo di grazia alle tradizioni autoctone. 

Il discorso ci porta inevitabilmente all'aspetto relativo alle scelte politiche, o meglio, il supporto che la realtà socio-economica di riferimento, concede o meno alla cultura espressiva. La lungimiranza dei produttori statunitensi e dei discografici inglesi è stata chiaramente incoraggiata dalla politica, dal potere, capace anche di redimere fenomeni di protesta per ricondurli nell'alveo del profitto. Un esempio su tutti: i jeans nascono intorno al 1870 come abito di lavoro per minatori e cercatori d'oro, già intorno al 1960 verranno introdotti da attori e attrici ad Hollywood come un indumento di moda. Negli anni '70 diverranno  uno dei simboli della contestazione giovanile, fino ad arrivare ai nostri giorni dove troviamo i Jeans nelle vetrine delle collezioni dei più importanti stilisti, in vendita a prezzi non proprio popolari e soprattutto perdendo, in questo modo, lo status di indumento di lavoro e contestazione, prerogative proprie della working class, per acquisirne altri ben diversi. Questo discorso può essere esteso anche al mondo della popular music.

Il mercato quindi, al vertice della piramide, un mercato che le recenti spinte neoliberiste globalizzate tendono a mostrare sempre più aggressivo e senza regole, dove l'unico obiettivo da perseguire è il profitto. Diversi economisti in passato si sono posti il problema del laissez-faire in economia: secondo l'economista francese Thomas Piketty "La questione della distribuzione delle ricchezze è troppo importante per essere lasciata ai soli economisti, sociologi, storici e filosofi, ma avrà sempre una dimensione soggettiva e psicologica". C'è la necessita quindi che le scelte siano predisposte considerando l'aspetto etico, che l'egoismo tende regolarmente e relegare come ultima possibilità di scelta. Anche Keynes definisce il troppo amore per il profitto come qualcosa "Un pò ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido  allo specialista di malattie mentali". Lungi dal considerar il denaro un male, in quanto è essenzialmente uno strumento che può essere buono o cattivo in base all'uso che se ne fa, il discorso che si propone in questa sede mira più che altro a cercare di far riflettere circa le priorità che vengono elaborate nel nostro sistema socio-politico e sulla necessità di porre al vertice della piramide un timoniere ideale che sappia condurci eticamente, quindi con rispetto dell'altro indipendentemente dai ruoli, in quel territorio dell'uomo dove il denaro, in quanto strumento, soggiace ai voleri dell'espressione umana, che non dimentichiamolo mai, è all'essenza dell'essere umano ed è molto più antica del denaro. Allo stato attuale è molto difficile riporre speranze in questo senso nella politica, molto più impegnata ad autoalimentarsi ed effettivamente lontana da qualsiasi senso etico. Al contrario, una certa sensibilità a queste istanze si riscontrano in alcuni, ma ancora troppo pochi, imprenditori illuminati, che raccolgono l'eredità morale di Adriano Olivetti, due su tutti: Brunello Cucinelli e l'imprenditrice veneta laureata in filosofia Francesca Masiero. 

Per concludere, desidero riportare il pensiero dell'economista austriaco naturalizzato statunitense Peter Drucker: "L'assenza di un fine sociale di base per la società industriale è il nostro vero problema. Bisogna sviluppare un concetto etico di base della vita sociale, un concetto che attinge alla filosofia e alla metafisica".


Bibliografia:

Marcello Sorce Keller, Economia, società e modi del far musica nelle culture tradizionali, in Enciclopedia della musica, Einaudi, Torino 2003;

Laura Pigozzi, Infanzia e capitalismo, Gli Asini, 82-83, dicembre-gennaio 2020-21;

Mario Vargas Llosa, La civiltà dello spettacolo, Einaudi, Torino 2013.


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