Cinema / Le quattro volte

 

Ci sono film che si realizzano non per essere visti ma per vivere insieme al fruitore, che in questo caso non è la stessa persona dello spettatore. L'idea di immagine cambia con il tempo e con essa l'idea di narrazione cinematografica. L'esposizione per immagini che va per la maggiore oggi è quella televisiva, rivolta a moltitudini, perlopiù passive, di telespettatori. Le rappresentazioni televisive vivono nella speranza di creare un pubblico a propria immagine e somiglianza e per far ciò la televisione arriva a utilizzare la finzione anche nel reale, trasferendo molto di rado contenuti e muovendosi essenzialmente nel territorio vacuo dell'intrattenimento.

Film Michelangelo FrammartinoDi tutt'altro segno è la cultura della visione di Michelangelo Frammartino. Regista classe 1968, con vari cortometraggi e due lungometraggi nel curriculum: Il dono del 2003 e Le quattro volte del 2010. Prenderemo proprio quest'ultimo titolo per sviluppare qualche considerazione in merito.


Le quattro volte è un film-documentario girato sulle serre calabresi, zone di origine della famiglia di Frammartino, milanese d'adozione. Ne sono venuto a conoscenza quasi per caso e fin da subito ho sentito il bisogno di vederlo. La pellicola, il film è girato in 35 mm, è un atto di contemplazione nei confronti della natura, dove l'uomo, andando in controtendenza con l'idea stessa di cinema, non è il protagonista assoluto, il centro della storia, ma bensì solo una parte del creato. Il film è un inno agli animali, ai vegetali, ai minerali e all'essere umano, affine a tutti gli organismi precedentemete citati, con due peculiarità in più: la volontà e la ragione.

Il film si svolge senza dialoghi, quei pochi scambi di battute tra paesani risultano alla stregua dei suoni ambientali, come i belati delle capre, il rumore del motore dei mezzi o delle seghe elettriche, del vento o il suono proprio degli oggetti. Frammartino opta per una scelta difficile ma di grande valore simbolico. Rendere i suoni umani al pari degli altri suoni dell'ambiente circostante. 

Molteplici sono le situazioni con valenza simbolica presenti nel film, che si dipanano in una tecnica di ripresa essenziale, con lunghe inquadrature fisse che soggiacciono alla grandezza della natura e una scrittura cinematografica essenziale che tende a definire uno sguardo puro sul mondo capace di trascendere il visibile per rivelare l'intima bellezza delle cose e degli animali. Una poetica  molto simile a quella incisa su pellicola dal francese Robert Bresson.

Film Michelangelo FrammartinoIl tema centrale del film è la vita che si rinnova; muore il pastore in mezzo alle sue capre e subito dopo nasce un capretto; il paese si svuota durante una processione, e a causa della rottura di una recinzione  gli animali si impossessano del borgo. Tutto diviene protagonista, addirittura la polvere raccolta dal pavimento della chiesa, che il pastore scioglie nell'acqua per ottenere un preparato che crede utile per la cura della sua tosse persistente, seguendo una ritualità ancestrale che si riallaccia alla credenza dei pitagorici, i quali  sostenevano che:


"le scintillanti particelle di polvere che danzano nei raggi del sole sono anime che scendono dalle aure superiori, nate sulle ali della luce; ne concludevano che l'aria fosse piena di anime che scendevano sulla terra e riascendevano, dopo la morte, verso il cielo." Christiane L. Joost-Gaugier


Forse un film del genere poteva essere girato solo sulle montagne calabresi, probabilmente il luogo più lontano dal nostro mondo tecnologico e globalizzato. Un topos ideale e utopico che riconduce l'uomo con le sue tradizioni, all'interno del suo regno originario pari dignitario con il regno animale, il regno vegetale e le cose inanimate.

Il lavoro ha impegnato Frammartino, fra ricerche e lavorazione, cinque anni, e questo dato, nello specifico, ha un sapore escatologico: Una lenta gestazione, matura, per la produzione di un film che narra il tempo lento che scorre secondo natura, non con il tempo degli uomini, e ripreso in maniera perlopiù statica.
Film michelangelo Frammartino
Il mio consiglio è quello di usare 88 minuti del vostro tempo, la durata della pellicola, non per intrattenervi e far scorrere il tempo, ma per immergervi nella vostra storia di esseri umani in relazione con il creato, per acquisire, se mai ce ne fosse bisogno, la consapevolezza che l'uomo non è il padrone del pianeta, ma solo una parte di esso.

Per concludere cito la motivazione della giuria per il premio Europa Cinemas Label per il miglior film europeo alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes. I quattro giurati hanno scritto nella motivazione che il regista:
"senza essere mai didattico o sentimentale, si assume dei rischi creativi e riesce a superarli. In un momento in cui il cinema più originale è minacciato, sentiamo che sia decisamente appropriato dare il premio a questo film ed offrire al pubblico europeo l'opportunità di vedere questa visione così vitale di un remoto angolo del nostro continente".


Riferimenti bibliografici:

 Christiane L. Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, Arkeios, 2008

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