Musica / La musica per sopravvivere alla quarantena

Nell'Italia presa in ostaggio dal Covid 19 popolarmente detto Coronavirus, mezz'ora prima del tramonto, ormai da qualche giorno, si consuma il rito sociale dei concerti su balconi, terrazze e giardini; alle 18,00 il paese in isolamento viene unificato dalla musica. Si imbracciano chitarre, si montano microfoni e altoparlanti per dar vita ad un mega concerto su scala nazionale della durata di circa 10 minuti. Il primo brano in elenco, che ha avuto il compito di istituzionalizzare il disagio, è stato L'inno di Mameli, mai come questa volta Il canto degli Italiani, seguito poi dai successi della musica leggera italiana che hanno segnato vari momenti della storia nazionale.


Questo fenomeno si richiama agli intenti originari dei flash mob, che nacquero e si diffusero agli albori del secondo millennio, per spezzare la quotidianità dei partecipanti e del pubblico casuale con un evento fuori dall'ordinario, quindi creare un'azione, un atto performativo o senza alcun significato oppure altre volte che consentisse di sviluppare un pensiero critico su una determinata problematica, sempre senza alcun fine di lucro.

In questa situazione italiana, ciò che trovo interessante, e non casuale, è che il fenomeno ha luogo al tramonto. 

Fonte: Il messaggero
Il tramonto, insieme all'alba rappresenta un momento cardine dell'esperienza umana nella storia della civiltà. Diversi popoli hanno visto e vedono tuttora nei loro riti il saluto al sole, energia che nasce con l'alba e si modifica e rigenera, ma, attenzione, non muore, con il tramonto. Inoltre, sono due momenti dove protagonista assoluto è il colore, tenue all'alba e più acceso durante il tramonto. Anche secondo la cabala, fare musica e danzare mentre il sole s'inabissa,  indica la fine dei tempi malsani. La propria coscienza è felice perché i disagi stanno per finire. 

Il sole è stato sempre concepito come un ente benefico: per gli Aztechi era lo spirito puro, l’aria, Quetzalcoatl, l’aquila  che simboleggia il sole nascente e il suo aspetto celeste; secondo la tradizione Indu  è il divino vivificatore, l’occhio di Varuna, Indra è solare e sconfigge il drago del caos e delle tenebre, Vritra. Anche Siva è il sole i cui  raggi sono il creativo Shakti che porta la vita al mondo. Il sole è la porta del  mondo, l’accesso alla conoscenza, all’immortalità; per la filosofia Taoista, è yang, il grande potere  celeste, il sole e la luna, Yin, insieme  simboleggiano l’essere sovrannaturale, composto di tutta luce. Spostandoci in Europa, presso gli antichi popoli nordici è l’occhio di Odino/Wotan; gli Alchimisti invece ci dicono che  il Sole è l’intelletto.  Sole e Luna sono oro e argento, re e  regina, anima e corpo. Sol niger è la prima materia. Il segno planetario  del sole, il cerchio col punto al centro, è un simbolo del compimento della  Grande Opera.

Detto quindi, della grande valenza simbolica del sole, se vogliamo apotropaica,  che si tuffa in mare o si nasconde dietro una collina, sarebbe di capitale importanza analizzare la fenomenologia del far musica insieme.
(eikon) Fonte: La repubblica
La musica accompagna la vita dell'uomo fin dalla notte dei tempi e, tra le altre qualità intrinseche, si palesa come un reale fenomeno di aggragazione. Dalla funzione di conforto, apertura al mondo e fattore di crescita che riveste durante l'infanzia, passando per la fase di riconoscimento e inclusione nel periodo critico dell'adolascenza fino a giungere al compito riflessivo, terapeutico, meditativo e non ultimo estetico che accompagna la vita umana fino alla fine. Ci sarà sempre un suono che l'essere umano percepirà nel ventre materno e un suono che sarà di commiato a questa esistenza terrena.

L'uomo è una creatura sociale, come scrisse il filosofo greco Aristotele nel IV secolo A.C. nella sua “Politica”, in quanto tende ad aggregarsi con altri individui e a costituirsi in società. E questo è ancor più vero quando l'uomo, il suo gruppo sociale più o meno allargato, si sente minacciato; ed è proprio allora che il senso di aggregazione si fa più forte, si cerca di condivedere il disagio con chi possiede i nostri stessi  codici culturali, l'anima si fa specchio della sofferenza altrui con il duplice scopo di alleviarla all'altro e conoscere meglio l'angoscia propria con il fine di dominarla e renderla gestibile.


Questo è ciò che definiamo come solidarietà umana, che tranne alcuni casi, si sviluppa negli ospedali, durante i conflitti e le catastrofi naturali, in definitiva in tutti i momenti nei quali è in discussione l'identità personale e con essa il concetto stesso di umanità.

La musica, con le sue prerogative di essere "suono umanamente organizzato"(J. Blacking, 1973), in questo contesto di disagio riveste una duplice funzione: aggregazione sociale secondo canoni culturali comuni nonchè condivisione e riconoscimento dell'angoscia personale e collettiva.

Un esempio tipico è la musica composta ed eseguita nei ghetti, nei campi di concentramento, come un modo per esprimere i sentimenti di dolore e sgomento, rivolta e speranza delle vittime di fronte alle persecuzioni politiche e razziali messe in atto dalla Germania nazista e dai suoi alleati, tra il 1933 e il 1945. Dopo la liberazione la musica, quella musica, è divenuta strumento di memoria e di compianto di fronte alla tragedia vissuta.


Con le dovute differenze, cantare sui balconi al tramonto, nell'Italia del XXI secolo, è sicuramente un tentativo di rompere l'isolamento e condividere l'angoscia data dal fenomeno epidemico e incrementata dai media in maniera, a dir il vero, incontrollata. Cantare al calar del sole, senza alcun intento estetico, è in questo caso, un tentativo di riempire le strade svuotate di vita, con una ondata benefica di vibrazioni condivise che cerchino di soffiar via la paura e restituiscano quelle certezze che sembrano andate in frantumi, con la speranza ultima che l'alba seguente la notte porti con sè, un giorno, il ritorno di quelle certezze perdute.




Commenti

Post popolari in questo blog

La connessione perduta

Taci anima che nulla più c'è da dire.

Sergio Battista secondo classificato al XX Premio letterario Il Delfino