Cinema / Favolacce: storia di un fallimento esistenziale.
Favolacce è l'ultimo lungometraggio realizzato dai fratelli D'Innocenzo. Presentato al Festival di Berlino, ottiene l'Orso d'argento per la migliore sceneggiatura e apprezzamenti dalla critica.

La location del film è estremamente significativa: un comprensorio di villini a schiera nella periferia sud di Roma. Villini ordinati e con giardino, che a prima vista denotano una certa agiatezza, ma che in realtà sono simboli di un ordine che copre tragedie personali profonde. Proprio questa è una delle tante chiavi di lettura di questo film sicuramente riuscito. Tutti i personaggi adulti vivono nell'inganno; gli uomini affrontano la loro esistenza vuota con i nervi a fior di pelle; le loro mogli, insoddisfatte, vivono nel cono della loro ombra. Uomini che manifestano i loro disagi esistenziali maltrattando i figli, ma che nei momenti difficili, dove non hanno vie d'uscita, mostrano il lato vigliacco della loro esistenza. Uomini che ci ricordano, nella loro inettitudine, Antonio Ricci in Ladri di Biciclette di De Sica, e bambini, che suppliscono alle inefficienze accudenti che in parte ci ricordano suo figlio Bruno. Proprio i bambini, come in molti film del periodo Neorealista, sono al centro della narrazione. Bambini che i fratelli D'Innocenzo ci mostrano più maturi degli adulti ma senza futuro. Proprio questo significato che emerge con chiarezza è un urlo di disperazione per un intera società che ha fondato la propria sopravvivenza sul villino, la piscina nel giardino, il Suv, le cene estive dove si mostra ma non comunica, la repressione dei sentimenti, e infine, l'evaporazione di ogni contenuto e l'impossibilità di qualsivoglia riflessione. Un circo della disperazione dove di numero in numero, una volta caduta la crosta in superficie, la ferita sottostante è marcescente.
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I fratelli D'Innocenzo sono artefici di un film forte che amplifica il senso di vuoto e disperazione con un uso molto particolare delle immagini e della gestione del sonoro. La pellicola, sotto il profilo delle immagini, bellissime, sposa appieno la lezione della fotografia contemporanea e della cinematografia europea degli ultimi decenni. I primi piani, molto frequenti, e i piani americani, vedono sempre il soggetto, di viso o di schiena che sia, a fuoco con lo sfondo sfocato, spesso l'uso della poca, o pochissima, profondità di campo, rende, anche nei primissimi piani, l'immagine incerta. Stesso senso di incertezza si avverte nei dialoghi, precari, spesso sussurrati con le parole non sempre comprensibili. Ma sono poi importanti le parole in quel contesto? Cosa mai possono esprimere le parole in quel senso di vuoto immanente?
Soggetto, fotografia e sceneggiatura/sonoro si pongono con una straordinaria forza espressiva, ognuna con la prerogativa propria, ma con un'accentuata unità stilistica, nel rappresentare una realtà deformata, incomprensibile, se vogliamo distopica.

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