Televisione / Il film, il pannolino e il politico
Il mondo, sempre meno reale e sempre più virtuale, vacua rappresentazione, ormai è immagine pura, ossia icona priva di qualsiasi senso, se non quello di dimostrare se stessa in un corto circuito esistenziale. L'officiante di questa prassi involutiva è l'apparecchio televisivo, vero mediatore dei nostri tempi, ossia ente preposto a determinare un incontro, in questo caso con rapporti di forza sbilanciati, tra due o più parti.
L'anomalia più frequente che riscontro nel mezzo televisivo è l'omologazione dei messaggi. Tutto è uguale a tutto all'interno del rettangolo televisivo. Pensiamo ad assistere ad un bel film, appassionante e che esprime valori profondi e tematiche che vale la pena di approfondire; proprio nel momento di maggior tensione emotiva, quando la gola si stringe e i pensieri vanno a mille, ecco che appare un culetto di un bambino nel suo pannolino, seguito da un pacco di fette biscottate, da un un'automobile che consuma pochissimo carburante, da una bella ragazza che si trucca per poi leccare un gelato che ci dicono essere delizioso. Lungi da essere un effetto straniante con l'obiettivo di non farci immedesimare nella rappresentazione della realtà filmica, questa parentesi, cosiddetta commerciale, uccide l'emozione e con questa l'opera cinematografica, rendendo con la sua continuità il pannolino omogeneo al piano sequenza che stavamo guardando con trasporto.
Credo con convinzione che la pubblicità non possa denaturare una creazione artistica; già è difficile sopportare un cartellone pubblicitario che interrompe la fruizione di un paesaggio, anche se è vero che in questo caso abbiamo una certa libertà per eluderlo. Ci possiamo spostare. Con la televisione ciò non è possibile, lo spettatore è passivo e in balia alle storie che qualcuno vuole raccontare. Come se ci legassero ad un palo davanti al cartellone. L'unica libertà possibile consiste nell'abbandonare attraverso il tasto di spegnimento.
Proprio questa comunicazione a senso unico è stata scelta dai politici come canale privilegiato.
La televisione in questo modo si rende come strumento alternativo alla piazza, simbolo delle libertà democratiche, luogo di acclamazioni ma anche di dure contestazioni.
Il mezzo televisivo è meno entusiasmante ma anche meno rischioso. Possiamo far risalire gli inizi di questo processo alle tribune politiche degli anni '70 dove in un atmosfera di fredda compostezza, il moderatore Jader Jacobelli gestiva discussioni misurate e composte. Negli anni successivi si cercò di colmare quel distacco comunicativo, troppo istituzionale e quindi lontano dai cittadini, inserendo interventi di rappresentanti politici in trasmissioni che spesso non avevano nulla a che fare con la politica.
La politica tentò, con la pervasività attraverso il mezzo televisivo e con successo, la strada della spettacolarizzazione e sfruttando questa per ottenere consensi, cercò di mostrare vicinanza ai pensieri dei cittadini. Lo psicologo statunitense Howard Gardener definisce questo processo come "Il desiderio di un esperienza genuina, di diretto contatto con la persona vera" che il mostrarsi in Tv, esprimendo concetti semplici che i cittadini vogliono sentir dire provoca. Il mezzo televisivo, non permettendo il contraddittorio, è da decenni il veicolo perfetto per raggiungere e consolidare il consenso.
Attualmente le trasmissioni di approfondimento politico sembrano un esempio di pluralità. La presenza di leader di partiti diversi e contrapposti potrebbe darci l'idea di un vero confronto democratico. Non credo sia proprio questa la realtà. Non è tanto l'idea di esercizio della democrazia che viene mostrata, quanto il tema della spettacolarizzazione dell'evento con la personalizzazione dello scontro, che non viene più valutato, dai fruitori televisivi, in base alle idee sostenute, ma dall'atteggiamento più o meno istrionico e dal linguaggio più o meno accattivante dei contendenti, che cercano di far passare il messaggio politico attraverso le regole dell'attorialità. Come in ogni spettacolo di varietà che si rispetti il veicolo diviene più importante del contenuto.
Tutto ciò che è sotto i nostri occhi non avviene per caso. La profonda crisi culturale che stiamo vivendo vede le proprie radici nell' aver abdicato ai contenuti e aver messo sul trono l'immagine vuota, nell'aver messo le influencer in primo piano e La nascita di Venere di Botticelli sullo sfondo, nel mostrare patologicamente i soliloqui autoreferenziali di politici, giornalisti e cortigiani mediatici vari, oramai veri sacerdoti di quel palcoscenico ludico che sono i dibattiti politici. In definitiva, di ricondurre tutto all'estrema semplicità, tentando la strada della banalizzazione dell'evento con il fine di rendere tutto come un intrattenimento; un film, un concerto, un dibattito. E ora, è il momento della pubblicità.
Bibliografia:
Howard Gardner, Personalità egemoni, anatomia della leadership, Feltrinelli, 2018
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